Tra centri gestionali, servizi finanziari, ma anche tlc e industria chimica, quella di Milano è la provincia italiana più esposta alle conseguenze della Brexit. La più esposta perché destinataria della fetta più grossa di tutte le partecipazioni inglesi nelle nostre aziende. La banca dati Bureau van Dijk stima infatti che i capitali di Londra generano sotto la Madonnina ben il 43% di tutti i ricavi fatturati in Italia. Se a questo si sommano gli investimenti nella Brianza (soprattutto nel commercio all’ingrosso) e quelli nella Bergamasca (per oltre un quarto legati ai macchinari tessili), si scopre che la Lombardia da sola beneficia in pratica della metà di tutti i ricavi ottenuti grazie agli investimenti inglesi in Italia.

A poco più di due settimane dal voto inglese, sull’impatto della Brexit si fanno molte stime ma di certezze è ancora presto per averne. Si immagina che il Pil italiano ne risentirà, che i capitali diretti in Gran Bretagna diminuiranno, e che anche la capacità di Londra di investire all’estero potrebbe essere ridotta, se non altro per sopraggiunte complicazioni di carattere burocratico-legale. Se quest’ultimo punto sarà vero, chi rischia di più dalla Brexit è dunque la provincia di Milano.

In tutto, le partecipate inglesi in Italia assicurano al nostro Paese un fatturato annuo di circa 29 miliardi di euro e sono poco più di 2.150. Per la Gran Bretagna, il nostro Paese è soltanto la 20esima meta degli investimenti diretti esteri, con 12,3 miliardi di euro convogliati nel 2014. Eppure per noi Londra ha un peso specifico non indifferente: su 9.367 imprese a partecipazione straniera nel nostro Paese (fonte Reprint), quelle a capitale inglese sono circa il 23%.

Al secondo posto, nella classifica delle province con il numero più alto di partecipazioni britanniche nelle aziende italiane (Bureau van Dijk tiene conto delle quote superiori al 10%) c’è Roma, che beneficia del 17,7% dei frutti di tutti i capitali inglesi nel nostro Paese e che ospita circa 344 imprese con un pezzo di Union Jack nel proprio Dna; il grosso è concentrato nel real estate e nelle costruzioni. Al terzo posto invece c’è Genova, sede di oltre 344 aziende partecipate, per la stragrande maggioranza uffici.

Classifica a parte, lungo la mappa italiana delle imprese a capitale britannico spuntano alcune peculiarità. Come Chieti, per esempio, che nonostante conti solo 7 imprese a partecipazione inglese a sorpresa è la sesta provincia italiana per ricavi generati grazie a capitali d’investimento britannico: 445 milioni, per la precisione, fanno capo alla manifattura di prodotti minerali, mentre quasi 200 milioni ai trasporti, per un totale di oltre 750 milioni di euro di entrate all’anno.

A Verona, invece, si concentrano ben 42 aziende partecipate da Londra, capaci di generare un fatturato annuo di oltre un miliardo di euro, dovuti per oltre 700 milioni al commercio all’ingrosso: per ricavi, è la quinta provincia italiana più legata alla Gran Bretagna. E poi c’è Siena, che è la provincia toscana a più alta presenza di capitali inglesi, quasi tutti nel settore farmaceutico: un eventuale disinvestimento britannico costerebbe alla città, già esposta ai venti del Monte dei Paschi, un contraccolpo da oltre 720 milioni all’anno.

 

(fonte: Il Sole 24 Ore)