Municipalizzate super indebitate e scarsamente liberalizzate.

E’ questo il quadro tracciato dalla Corte dei Conti, in un rapporto che analizza la gestione finanziaria delle partecipate pubbliche, da cui emergono “indubbi profili di criticità”, anche sotto il profilo della concorrenzialità.

Dati che hanno portato anche la Claai, Confederazione Libere Associazioni Artigiane italiane a denunciarne la gravità.

Un drastico intervento che interrompa e sani questa grave anomalia – è il commento del segretario generale Marco Accornero -, potrebbe portare immediati vantaggi sia sotto il profilo del taglio alla spesa pubblica improduttiva ed incontrollata, sia anche per quanto concerne la riduzione di bollette energetiche e per servizi pagate, spesso senza possibilità di vera concorrenza, da cittadini ed imprese.”

Dalla relazione Gli organismi partecipati degli enti territoriali” emerge che le partecipate locali mostrano una netta prevalenza dei debiti sui crediti: l’ammontare dei debiti ammonta nel complesso a 83,3 miliardi di euro.

Inoltre, il rapporto crediti-debiti verso controllanti, nelle partecipazioni pubbliche al 100%, è sbilanciato in favore dei primi. Secondo i giudici contabili, “emerge, quindi, una forte dipendenza delle partecipazioni totalitarie dagli enti controllanti, pur in presenza di un rilevante indebitamento verso terzi”.

Sotto un profilo più strettamente operativo, la Corte rileva un fallimento delle liberalizzazioni, a causa del bassissimo ricorso a gare ed appalti, a vantaggio della fornitura di servizi in house: le gare rivolte a imprese terze sono state appena 150, pari allo 0,7% del totale degli affidamenti osservati.

“Le oltre 7 mila società partecipate da enti locali costituiscono ormai un esercito che si autogoverna da solo, spesso addirittura sconosciuto ai generali che dovrebbero guidarlo – rimarca Accornero -. Solo il 35% di quelle aziende si preoccupa di far arrivare acqua, luce e gas nelle case degli italiani, di far girare bus e metropolitane, di assistere anziani e disabili. Il 40% svolge invece generiche attività “strumentali”, per lo più professionali, e il restante 25 non si sa affatto cosa faccia. Un terzo del totale, inoltre, secondo l’analisi della Corte dei Conti, ha più amministratori che dipendenti e un’altra buona fetta riceve finanziamenti pubblici che superano di gran lunga la produzione offerta di beni e servizi.”

Proprio mentre il governo tenta l’affondo finale per tagliare almeno una parte delle 7.181 aziende pubbliche locali, la Corte dei Conti le fotografa impietosamente nel loro stato di totale anarchia, mettendo in risalto soprattutto il ruolo di distributori automatici di poltrone che quegli organismi stanno ormai assumendo in misura preponderante.

“La Corte dei Conti è costretta già in partenza a ridimensionare la platea sotto indagine: delle 7.181 partecipate locali, solo 4.217 hanno dati di bilancio disponibili e confrontabili – conclude Accornero – e già questo aspetto induce a minare profondamente la credibilità del sistema, venendo a mancare ogni forma di elementare controllo su quasi la metà delle aziende a partecipazione pubblica. Interrompere con urgenza e decisione questa indecenza costituirebbe un colpo importante contro corruzione, cattiva amministrazione e sprechi, a beneficio di un maggior controllo della spesa pubblica e della riduzione delle bollette in capo a famiglie e aziende ”.