La recente sottoscrizione del Memorandum of Understanding (MOU) tra Italia e Repubblica Popolare Cinese ha rilanciato l’interesse per l’interscambio economico e commerciale tra i due paesi.

Già nel 2017 i rispettivi Ministri degli Esteri avevano siglato una dichiarazione congiunta contenente l’impegno a creare, attraverso un memorandum of understading, la cornice normativa nella quale inscrivere ed attuare accordi bilaterali concreti in specifici settori economici, tecnologici e scientifici.

Il tutto, con il fine di promuovere ed equilibrare i flussi di import-export tra i due paesi.

Come noto, l’Italia sconta un sostanziale ritardo rispetto ai maggiori partners dell’Unione Europea, in primis la Germania, in termini di volumi di scambio e di investimenti diretti, a tacere della limitata penetrazione dell’export italiano in Cina. Se è vero, prendendo ad esempio un settore di eccellenza come l’agroalimentare, il nostro export ha registrato un aumento del 254% negli ultimi 10 anni, è altrettanto vero che le importazioni dalla Cina superano del 35% il nostro export.

In questo settore hanno pesato soprattutto le barriere tecniche che con il Memorandum si intenderebbe progressivamente eliminare, ad esempio nell’export di carni suine, di seme bovino e agrumi, oltre in prospettiva all’eliminazione di altre barriere fitosanitarie.

Attraverso il ricorso allo strumento del Memorandum, già ampiamente utilizzato dalla Repubblica Popolare Cinese (RCP) in altri contesti, viene dunque perseguito l’intento di ridurre lo sbilanciamento dei rapporti commerciali tra i due paesi, in parte dovuto a barriere tecniche che frenano il libero scambio (vedi agro-alimentare di cui sopra), in parte ad ostacoli giuridici, quali la parziale opacità del quadro normativo e fiscale applicabile.

A ciò si aggiunge l’obiettivo di creare le premesse per futuri accordi, con la creazione di start-up nei settori della scienza e delle tecnologie avanzate su cui l’industria cinese ha da sempre concentrato la sua attenzione.

Com’è noto, il Memorandum sottoscritto con la Cina si inserisce del quadro più generale della Belt and Road Initiative promossa dalla Cina dal 2013 e finalizzata essenzialmente ai seguenti obiettivi:

  • Creare una crescente inter-connettività strutturale all’interno della stessa RPC, anche per colmare il divario esistente tra le aree costiere più sviluppate e quelle interne occidentali; sula lato esterno e, dal lato esterno, tra la RPC e i paesi dell’Asia Centrale (tra cui Kazakhstan e Turkmenistan per i rifornimenti energetici) sino al Golfo e all’Europa.
  • Utilizzare il surplus di capacità legata alla costruzione di infrastrutture.
  • Accrescere il peso del renminbi negli scambi internazionali per il limitare il dominio del dollaro statunitense.
  • Sviluppare una strategia geopolitica globale attraverso la creazione di infrastrutture terrestri e marittime alternative alle tradizionali rotte commerciali dominate dagli USA.

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Come osservato, il Memorandum costituisce una cornice all’interno della quale le parti si impegnano a collaborare in una serie di ambiti, economici ed istituzionali, tra i quali riveste un particolare interesse il settore commerciale. Sul piano della cooperazione economica, l’obiettivo per l’Italia è quello di riequilibrare la bilancia commerciale e intensificare i flussi di investimento tra i due Paesi.

“Nel quadro dell’Iniziativa “Belt and Road”, le Parti incoraggeranno una collaborazione commerciale ed industriale trasparente, non discriminatoria, aperta e libera; procedure di appalto aperte; la messa in opera di un level playing field ed il rispetto per i diritti di proprietà intellettuale

In effetti, pur nell’inevitabile genericità insita in strumenti di questa natura, sul piano programmatico sono stati posti in luce alcune delle maggiori criticità che ad oggi hanno frenato le relazioni commerciali tra le parti che si riflettono puntualmente a livello di contratti tra privati.

Per quanto riguarda le PMI,  sul piano concreto ed attuativo sono stati presi in considerazioni gli ambiti delle start-up innovative con la sottoscrizione di un Protocollo d’Intesa nel quale le Parti si impegnano a favorire la cooperazione scientifica e tecnologica tra start-up italiane e cinesi, prospettando anche la creazione di comuni parchi scientifici e tecnologici, cluster industriali e investimenti in venture capital che assicurino competitività a livello internazionale a tali iniziative.

A seguire verranno emessi mediante un accordo siglato tra Cassa Deposito Prestiti e Bank of China un piano di emissioni obbligazionarie, i cosiddetti “Panda Bond”, per 5 miliardi di renminbi (650 milioni di euro), per supportare la crescita delle imprese italiane in Cina attraverso l’appoggio di  banche italiane e  cinesi.

Centrale appare poi la tutela rafforzata della proprietà intellettuale, tema assai spinoso in considerazione dell’esperienza di numerose aziende italiane che sono state ripetutamente esposte al rischio della contraffazione di prodotti e/o di imitazione di marchi, brevetti e know-how.

È dunque auspicabile che l’accordo rafforzerà l’impegno ad una maggiore protezione della proprietà intellettuale,agevolando lo sviluppo di forme di cooperazione congiunta.

Ulteriore obiettivo del Memorandum riguarda la cooperazione tra le imprese e i consumatori del commercio elettronico operanti in Italia e in Cina, facilitando la cooperazione tra le PMI e le grandi piattaforme di commercio elettronico nonché condividendo le best practice e le innovazioni delle imprese di entrambi i Paesi.

L’attuazione degli accordi verrà seguita per la parte italiana dalla Task Force Italia-Cina, istituita presso il MISE, e per parte cinese dal Dipartimento della Cooperazione Internazionale del Ministero della Scienza e Tecnologia.

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Altro accordo siglato nell’ambito del Memorandum attiene alla eliminazione delle doppie imposizioni fiscali, aggiornando l’accordo bilaterale del 1990. Le disposizioni del nuovo Accordo sono intese a realizzare una equilibrata ripartizione dei rispettivi regimi impositivi in relazione royaltiescapital gains e interessi. Saranno in questo modo favoriti gli investimenti transfrontalieri nell’ottica di una maggiore certezza delle regole fiscali applicabili alle imprese dei due Paesi.

Gli operatori privati hanno segnalato una tradizionale difficoltà con riguardo all’opacità delle regole e della prassi riscontrata nei rapporti con le amministrazioni locali (licenze, permessi, dogane, procedure valutarie, contabilità), aspetti che dovrebbero formare l’oggetto di future misure tese ad assicurare una maggiore trasparenza applicativa e normativa.

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Questo insieme di strumenti, alcuni di natura programmatici, altri più direttamente applicabili, porteranno auspicabilmente ad un miglioramento del quadro normativo nel quale le imprese private si trovano ad operare.

Senza pretesa di esaustività, va osservato che sotto il profilo formale gli accordi a carattere transnazionale non presentano sostanziali differenze rispetto alla prassi internazionale. Si ricorda, in proposito, che la RPC, soprattutto dopo il suo ingresso nel WTO del 2001, ha aderito alle principali convenzioni in materia di commercio internazionale.

In particolare, la RPC ha ratificato alcune importanti convenzioni internazionali, su tutte la Convenzione di Vienna del 1980 di diritto uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili che, salvo diversa volontà delle parti, troverà applicazione negli accordi di compravendita.

In termini redazionali, è comunque raccomandabile adottare come base di negoziazione, modelli contrattuali internazionali, per adattarli opportunamente nella regolamentazione dei rapporti con le controparti cinesi.

Va da sé che massima attenzione andrà prestata alle c.d. norme di applicazioni necessaria, tra cui le disposizioni in materia fiscale, valutaria, doganale, lavoristica, fito-sanitaria, ambientale, che integrano e condizionano imperativamente le pattuizioni tra privati, indipendentemente dalla legge prescelta.

In termini generali, come precedentemente osservato (Contratti con la Cina: quali sono i rischi), oltre a contratti dettagliati e in lingua inglese, negli accordi è preferibile fare riferimento a una legge ed a una giurisdizione terza, in anticipazione di dissidi interpretativi o di contenzioso. Quanto all’arbitrato, va da sé che, se in teoria questa soluzione con sede estera appare utile, in pratica tale via andrebbe perseguita, tenuto conto dei costi, solo se si giustifichi per la complessità e il valore della controversia, nonché del luogo in cui il lodo arbitrale andrà poi eseguito.

È peraltro noto che, al di là degli aspetti formali, le maggiori criticità emergano non tanto sul piano formale quanto sull’attuazione degli accordi, accentuata dalla difficoltà di accedere ai sistemi di giustizia locale in caso di contenzioso.

Pertanto,quanto all’export, può risultare utile un ricorso più intenso alle tradizionali forme di auto-tutela c.d. “self-liquidating” in ambito internazionali, quali penali, garanzie autonome,consegne frazionate, sistemi di pagamento anticipato, credito documentario appoggiato sul proprio sistema bancario. Il tutto, tenendo ovviamente conto dei costi e della effettiva negoziabilità di queste forme di tutela privata.

Per converso, quanto all’import di prodotti cinesi, e al netto delle regole applicabili la prassi indica alcuni accorgimenti, tra cui la presenza di soggetti di fiducia presenti su cui appoggiarsi per seguire profili quali, se applicabili, gli adempimenti doganali, controllo delle merci in uscita, permessi e licenze, tenuta della contabilità.

Si auspica pertanto che i principi enunciati nel Memorandum trovino effettiva attuazione attraverso pattuizioni vincolanti tra Stati a tutela degli operatori privati: solo allora potremo verificare se l’accordo avrà sortito gli effetti sperati consentendo all’Italia quell’atteso balzo in avanti verso la Cina.

 

 

(fonte: Giornale Pmi – Avv. Luisa Brevi- Website: Brevi & Vuolo Studio Legale)